L' Europa meticcia non può rifiutare i rom

Repubblica — 23 settembre 2010


LA DIRETTIVA del governo francese riguardo alle espulsioni era concepita in modo inammissibile: mettendo l' accento sull' identità dei rom risultava un' operazione discriminatoria e, al limite, razzista. Certo, la vicepresidente della commissione europea Viviane Reding, comparando la misura ai provvedimenti tedeschi durante la seconda guerra mondiale, ha evidentemente esagerato. Ora, al di là delle reciproche scuse, è chiaro che in Europa esiste un problema e una questione dei rom. È mia convinzione che questo problema debba essere regolato attraverso una politica specifica concordata in sede europea. Occorre varare un regolamento al cui rispetto siano tenuti tutti i paesi dell' Unione, al di là del fatto che il numero dei rom sia diverso in ciascun paese e che i governi europei oggi siano divisi tra quelli che hanno un atteggiamento piuttosto accogliente e quelli invece (come l' italiano) che sembrano porsi in maniera tendenzialmente ostile. Penso che la cosa più importante da fare oggi sia aprire un confronto tra i rappresentanti di tre diverse parti: le diverse comunità rom, i governi nazionali e l' Unione europea. Un tavolo di dialogo dovrebbe individuare, prima di tutto, dei luoghi deputati all' insediamento delle diverse comunità rom. Luoghi che i governi devono far rispettare ma che devono rispettare anche le stesse comunità rom. C' è comunque nella storia una tendenza dei rom a installarsi e rimanere in luoghi specifici. Il problema è reso più acuto dal fatto che i paesi europei dove i rom sono più numerosi - in particolare la Romania - sono anche quelli in cui la disoccupazione è più alta. Per questo credo che nei colloqui si dovrebbe affrontare anche il tema dell' occupazione. Oggi l' attrito tra rom e gruppi di cittadini europei nasce da diverse questioni ancora insolute: una di queste è la resistenza di alcuni rom a far frequentare le scuole pubbliche nazionali ai propri figli. Io sono favorevole alla maggiore integrazione possibile dei rom nelle culture dei diversi paesi in cui risiedono, ma credo anche che potremo lasciare loro il compito di organizzare essi stessi l' educazione dei loro figli, a condizione che funzionari pubblici di diversi paesi possano sovrintendere al rispetto di alcune regole fissate di comune accordo. Dunque lascerei ai rom libertà nella scelta dei docenti degli orari e dei metodi dell' insegnamento ma con l' impegno che questo stesso insegnamento sia oggetto di una verifica da parte degli stati nazionali. Anche nel settore della sanità e della salute occorre cercare un compromesso tra la libertà dei rom di dovee come farsi curare e la verifica che queste cure siano effettivamente svolte. Come storico credo che una progressiva realizzazione di una sempre più forte unione europea sia la strada giusta per risolvere il problema. Per riprendere un espressione di Jacques Delors il nostro spazio politico ha scelto di costruirsi come «Europa delle nazioni». E i rom si possono considerare a tutti gli effetti una nazione. Ecco perché credo che almeno una parte importante delle regole che si applicano alle nazioni europee potrebbero essere applicate ai rom. Tenendo conto che l' Europa è un insieme di diversità, anche se con forti somiglianze tra diversi paesi che la compongono. Insomma, mi pare che l' essenziale sia la voglia di pervenire ad un accordo che non può che essere un compromesso, frutto di un dialogo. Naturalmente c' è un problema linguistico: i rom parlano sia lingue specifiche sia la lingua del paese in cui risiedono, dunque la loro nazione non si distingue per un' unica lingua. Ma questo è un problema che esiste anche altrove in Europa e anch' esso può trovare una ragionevole soluzione. Come storico credo che ciò che ha contraddistinto l' esperienza millenaria dell' Europa siano stati il meticciato, la mescolanza delle culture e la loro progressiva integrazione. L' Europa è nata dalla fusione tra i popoli cosiddetti romani o gallo romani o ispano romani (cioè quelli che diedero luogo a una prima integrazione) e i cosiddetti «barbari», una parola oggi bandita dagli storici. Oggi fortunatamente non disprezziamo più chi non pratichi una cultura cosiddetta superiore: gli storici e tutti coloro che hanno influenza sulla società dovrebbero mostrare come la caratteristica tipica dell' Europa sia proprio la sua capacità di integrazione nel rispetto delle diversità: una strada difficile ma possibile. Certo, le difficoltà di accogliere gli stranieri che si manifestano oggi in Europa nascono anche dal fatto che negli ultimi anni il numero di immigrati è cresciuto. Ma non dovremmo dimenticarci che nel periodo dell ' a n t i c h i t à t a r d i v a o d e l Medioevo le cifre relative ai cosiddetti barbari, celti, germani o slavi che si spostarono sul territorio europeo erano assai più grandi. A quell' epoca l' integrazione più importante fu quella provocata dalla cristianizzazione. Oggi la religione di per sé non può essere lo strumento principale di integrazione. Serve un progetto culturale comune nello spazio europeo: un progetto scientifico ma anche educativo. E poi è necessario lavorare anche sul regime politico: la forza dell' Europa è anche quella di essere composta da stati che con tutti i loro limiti sono tutti democrazie. La sinistra in particolare deve saper rispondere con maggior forza alla destra su questo tema. Il suo limite oggi è che purtroppo non riesce a combinare la giusta ostilità alle cattive politiche di discriminazione con un' alternativa efficace, capace di offrire soluzioni di ricambio concrete percorribili. Forse la nozione più falsa e pericolosa veicolata dal nazismo è proprio quella della purezza etnica. C' è bisogno oggi di un grande progetto capace di rifarsi proprio all' originalità dell' esperienza storica europea, capace cioè di ritrovare l' ingrediente storico della sua forza: il suo multiculturalismo, la sua abitudine al meticciato. Il presidente della repubblica francese - per fare solo un esempio - dovrebbe ricordarsi di essere ungherese.

                                                                                                 JACQUES LE GOFF